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THURWIESERSPITZE
così chiamata da Edmund von Mojsisovics, nome notevole
della storia dell'alpinismo, in onere di Peter Karl Thurwieser,
uno dei primi scalatori dell'Ortles e alpinista militante
della prima metà del secolo passato.
Svelta piramide di rocce, a forma di aguzza lancia, con
un tagliente di ghiaccio terso di tale ripidezza che passò
come sinonimo nella letteratura alpina. E' tra le più
belle montagne delle Alpi Orientali e costituisce, vista
da est, col Tresero la più elegante vetta del gruppo.
Ascensione di frequente compiuta per la fame di più
difficile cima della regione. Richiede realmente una buona
pratica ed abilità onde superare il famoso spigolo
di ghiaccio. La ripida facciata rocciosa italiana invece,
pressoché sconosciuta , é molto più
facile, qualora si tenga la via seguita finora dalle guide
di S. Caterina. |
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STORIA
ALPINISTICA |
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• 1°
ascensione (dopo molti tentativi): Theodor Harpprecht
con Josef Schnell - 20 agosto 1869 - (per cresta
est). • 1° ascensione per parete Sud-Ovest e prima
traversata: G. Gejer e Richard Zsigmondj - 23 agosto
1882 - • 1° traversata dalla Trafoier Eiswand
alla Thurwieser (Baeckmanngraf) : Carl Baeckman con Alois
Kuntner e Alois Pinggera - 16 settembre 1890 -
• 1° ascensione per la parete Nord: Guido Eugen Lammer
(solo)- 19 agosto 1893 -
• 1° ascensione per la parete Sud-Est: Giovanni
Zanoletti con Luigi Bonetti e Filippo Cola - 8 agosto
1895 - • 1° ascensione italiana: Piero Pogliaghi
con Luigi Bonetti - 1881 |
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AVVENTURA
SULLA THURWIESER
dell'alpinista tedesco Guido Lammer,
filosofo Hegeliano |
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"Il 19
agosto 1893 egli partì solo da Trafoi, nella notte
salì per il ghiacciaio fino alla parete Nord della
Thurwieser, che é la vetta più difficile
e pericolosa dell'intero gruppo e di primo mattino attaccò
quel ripidissimo sdrucciolo di ghiacciaio, per il quale
nessuno aveva mai pensato si potesse salire. Il Lammer
incominciò a piccozzare, solo con il suo immenso
coraggio, e più si innalzava sulla parete e più
si avvicinava alla verticale, doveva tagliare gradini
e appigli per le mani con estrema cautela, per non staccarsi
dal grande muro gelato, precipitando alla base. In cinque
ore di questo lavoro fu sulla cima, ma il guaio gli capitò
al ritorno. Sceso per un altro itinerario e giunto al
circo alto del ghiacciaio, quando già pensava ad
un facile ritorno, la neve, scaldata dal sole pomeridiano,
cedette sotto il suo peso proprio quando stava sulla crepa
terminale.
Il Lammer sprofondò nel nero abisso, sfondò
cadendo un secondo 'ponte di neve che si trovava nel crepaccio
20 metri più sotto e, dopo una caduta di altri
10 metri finì sul fondo. Il secondo ponte di neve
aveva attenuato l'effetto del salto che sarebbe stato
certamente mortale; quando il Lammer rinvenne dopo
qualche tempo, si trovò con alcune costole rotte
che gli davano fitte dolorose nei fianchi e fratturata
anche una caviglia; aveva anche rotto gli occhiali e anche
questo era grave per lui, estremamente miope. Unico punto
positivo: aveva sul fondo la piccozza, quell'arma che
sapeva adoperare tanto bene, come aveva dimostrato poche
ore prima sulla parete.
Attorno un gran buio, rotto appena su in alto da due
cerchietti chiari, aperti dal suo corpo dalla caduta.
Forse fu proprio quel minimo raggio di luce a riaccendere
in lui l'attaccamento alla vita e la speranza di uscire
in qualche modo da quella tomba. Dalla morte non lontana
poteva risalire alla vita tagliandosi la via su quel
muro di ghiaccio alto 30 metri; é facile immaginare
la lotta tremenda, combattuta da quell'uomo ferito e
quasi cieco che si innalzava di pochi centimetri per
volta a prezzo di un continuo martirio, con il terrore
di poter ricadere sul fondo per un minimo errore. Eppure
la dura volontà di sopravvivere lo sostenne fino
che arrivò all'orlo del crepaccio e poté
buttarsi sfinito sulla neve. E trovò ancora la
forza di trascinarsi giù per il ghiacciaio interminabile
fino a Trafoi." |
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